sabato 11 febbraio 2012

Io se metto al mondo un figlio lo faccio alle 5,42


Testimonianza per il congresso nazionale degli infermieri dei reparti dialisi.


Buongiorno a tutti, mi chiamo Irene Vella, sono giornalista, ho 41 anni,  un marito, due figli, due cani, e un rene all'attivo, l'altro l'ho donato a Luigi (il marito per l'appunto) il 6 febbraio 2003, quest'anno abbiamo festeggiato il nostro nono anno di condivisione e di rinascita. (il 6 febbraio 2012)

Sì perchè dal 2003 noi festeggiamo due compleanni, quello nostra nascita e quello della rinascita della nostra famiglia, allietata dopo solo un anno, dall'arrivo di Gabriele, soprannominato ormai da tutti “lo gnomo”, il primo bambino nato in Italia da madre donatrice, dopo solo un anno e un mese dal trapianto.
Ringrazio in primis l'infermiera Patrizia Galeotti, dell'ospedale di Viterbo, colei che con tanto amore e cura si occupa dei pazienti dializzati in lista d'attesa, per aver fortemente voluto la mia partecipazione a questo congresso, ed io sono veramente onorata di poter condividere con voi la mia meravigliosa esperienza.
Il giorno che ho scoperto che Luigi era in insufficienza renale me lo ricordo bene, avevamo entrambi 29 anni, eravamo sposati da sei mesi e la nostra prima figlia era stata battezzata due giorni prima, aveva poco più di due mesi.
Luigi aveva da circa un mese dei forti mal di testa, scoprimmo successivamente dovuti alla pressione alta, e diceva di non vedere bene in alcuni momenti, ragion per cui gli avevo preso un appuntamento con l'oculista, che dopo avergli misurato la pressione e aver riscontrato 150 di minima e 200 di massima, lo aveva spedito all'ospedale.
Da lì mi telefonò Luigi, io stavo allattando al seno la mia piccolina, mi disse che era in ospedale, che lo avevano ricoverato, e che non sapeva per quanto lo avrebbero trattenuto, di portargli qualcosa per il cambio.....
Da qui vado a memoria. Mi ricordo che riattaccai il telefono come un automa, telefonai ai miei genitori, che stanno a Follonica, ad un centinaio di km da Pisa, per tenere la bambina e poi arrivai in ospedale.
Percorsi quei corridoi lunghissimi, attraversai quelle stanzone così grandi e poi lo vidi: lui che è sempre stato un gigante, sembrava piccolissimo, seduto su quel letto bianco, gli corsi incontro e lo abbracciai forte come a impedire che qualcuno o qualcosa potesse portarmelo via.
Quindi cominciò la processione dei dottori e il susseguirsi delle analisi.
Per la prima volta nella mia vita, cominciai a sentir parlare di azotemia e creatinina, non sapevo assolutamente cosa fossero, ma nel giro di pochi giorni diventai un’esperta: erano i valori che ti mettono a conoscenza della funzionalità renale. I reni di Luigi non andavano più bene.
Ricordo che, durante il viaggio dall’ospedale a casa, continuavo a ripetermi che, una volta che Luigi fosse tornato da me, sotto le mie cure, tutto sarebbe tornato come prima: che illusa che ero, niente
sarebbe stato più come prima.
All’improvviso era come se quella malattia si manifestasse in tutta la sua gravità: vedevo Luigi dimagrito, ogni mattina ed ogni sera bisognava misurare la pressione e poi i controlli in ospedale: la nostra vita cambiò radicalmente, il mese veniva scandito dalle visite di controllo all’ambulatorio e dalle analisi, ogni volta che ritiravamo quel foglietto mi assaliva la paura, la paura che la creatinina salisse e che Luigi si dovesse ricoverare.
Non si può spiegare bene a chi non lo ha provato che cosa significa quando all’improvviso non sei più tu il padrone della tua vita, ma un valore delle tue analisi, è come se tu non avessi più la possibilità di prendere alcuna decisione, è la malattia che decide per te.
Fu nel 2000 ad una visita di controllo che sentii per la prima volta la parola “Donazione da vivente”, e lì io ebbi la mia illuminazione, c'era il problema e c'era la soluzione, ma non avevo fatto i conti con la testardaggine di mio marito.
Potrei dilungarmi ore a descrivere nei minimi particolari quanto possa essere cattiva e subdola una malattia degenerativa di questa entità. Vi posso dire che è come essere sull’orlo di un precipizio ed avere qualcuno, impalpabile e invisibile, che da dietro, piano ma inesorabilemente, ti
spinge verso il vuoto, e tu non riesci a calcolare la forza della spinta e la quantità dello spazio che ti separa dalla caduta; è una sensazione terribile il non sapere quando cadrai ma sapere con certezza che succederà.
Accadde una mattina di aprile, mi ricordo che andai a ritirare le analisi di Luigi da sola e l’infermiera del distretto, che mi conosceva, mi disse ancora prima di averle in mano che la situazione era peggiorata e che la creatinina era salita; mi ricordo che presi le analisi, andai in macchina e mi misi a piangere come una disperata; ancora una volta ce l’avevo con il mondo intero, non riuscivo a capire perché stesse succedendo proprio a me, non riuscivo a capire il perché di tutto il dolore che stavo provando, ma non c’è mai un perché ai dolori della vita, succede, e le uniche cose che puoi fare sono due: o arrenderti o tirare fuori le unghie e combattere.
Presi la decisione di non soccombere al dolore ma di lottare per la bambina, per Luigi, per me.
L’amore che avevo dentro mi avrebbe aiutato a superare quei brutti momenti, ma non è mai stato facile.
Quando la creatinina comincia a salire è una salita senza ritorno.
Ancora oggi, quando a Luigi chiedono che cosa alla fine lo abbia convinto ad accettare il mio rene, lui risponde che, dopo tre anni di insistenze, aveva capito che per me sarebbe stato molto peggio vederlo in dialisi piuttosto che rimanere con un rene solo; ma la frase “facciamo il trapianto” dalla sua bocca non uscì mai, fu un silenzio assenso.
All’ennesima richiesta della dottoressa Paleologo su quale fosse la nostra ultima decisione, Luigi stette zitto e io esclamai con tutta la mia voce: “siamo pronti, cominciamo le analisi”.
E arriviamo finalmente a quel fatidico giorno: lunedì 3 febbraio. Eravamo in casa. La nostra bimba era all’asilo. Erano le dieci circa ed il telefono squillò. Eravamo sul letto ed io guardai Luigi perché quel suono era diverso da tutti gli altri, ma non ebbi il coraggio di rispondere e feci rispondere lui: era la dottoressa che ci chiamava e ci comunicava di ricoverarci in ospedale; era pronta una stanza per noi.
Quando senti dire da altri “in quel momento mi è passata davanti tutta la mia vita”, magari fai un sorrisetto di circostanza... Ma è proprio quello che successe una volta riattaccato il telefono, è come se con un colonna sonora di sottofondo rivivessi tutti i momenti salienti della mia vita: l’incontro con Luigi, la scoperta dell’attesa, il matrimonio, la nascita di Donatella e la malattia di Luigi e poi, come per incanto, la possibilità di una nuova vita.
Non è retorica ma per me entrare là dentro è stata come la realizzazione di un sogno, poter finalmente liberare mio marito dalla schiavitù della dialisi era il più bel regalo di san Valentino che ci potessimo fare.
L’unica volta in cui ho avuto un piccolo cedimento, è stata la sera prima dell'intervento, i miei decisero di portare la mia bambina a salutarmi, e io dopo essere scesa giù nell’atrio dell’ospedale, l’ho vista così piccola e indifesa nel suo cappottino, con quell’espressione interrogativa nel suo visino, come a domandarsi perché la mamma fosse in quel posto. Allora tutte le responsabilità di mamma mi sono piombate addosso. E se qualcosa fosse andato storto? E se non avessi fatto la scelta giusta? Ma poi, cercando di soffocare le lacrime, mi sono detta: andrà tutto bene, deve andare tutto bene, perché questa è la soluzione, non ce ne sono altre.
Allora come adesso, tante persone mi domandano se abbia mai avuto il minimo dubbio o la paura che qualcosa potesse andare storto o non funzionare: ebbene no, non l’ho mai avuto, mi sono imposta di pensare positivo sempre, anche quando magari la mia testa provava a spostarsi verso altre direzioni di pensiero, mi imponevo di non dare ascolto ai diavoletti vari ma di avere fiducia sempre.
Io e Luigi abbiamo questo di bello, che riusciamo sempre a non prenderci sul serio e a scherzare anche nelle situazioni drammatiche.
Come poter dimenticare l’arrivo in camera, ci avevano messo a disposizione la suite dell’albergo, era la stanza più grande e luminosa del reparto.
Luigi ancora non c’era, ma sarebbe arrivato a momenti. Io nel frattempo guardavo fuori e mi sembrava tutto più bello, sarà stato l’effetto della morfina (scherzo). E poi all’improvviso un tuffo al cuore: ho visto entrare anche lui tutto pieno di tubi e tubicini per il drenaggio,per l’ossigeno e il catetere, nonostante questo mi è sembrato comunque bellissimo.
Mi veniva da piangere dall’emozione, non potevamo ancora muoverci, quindi non ci siamo potuti toccare o baciare, ma averlo lì, con me, felice, sorridente, nonostante il dolore, una sensazione che non dimenticherò per tutta la vita.
Per me, ma penso di potermi esprimere anche a nome di Luigi, il trapianto è stato questo: un dono che io ho fatto a lui, ma sicuramente anche un dono che la vita ha fatto a noi dandoci la possibilità, con la compatibilità dei nostri gruppi sanguigni, di ricominciare a vivere.
È così che mi piace parlare di quello che c’è stato tra me e mio marito, non è mai stato un dovere, ma un atto dettato dall’amore dell’uno verso l’altro.
Questa è la nostra favola, scritta di getto e tutta d’un fiato, per fermare sulla carta sensazioni, sentimenti, ricordi, perché un giorno Donatella e Gabriele sappiano quanto è stato grande l’amore dei loro genitori, sappiano che il babbo si porterà sempre un pezzettino della mamma dentro di sé e, soprattutto, perchè imparino che non può piovere per sempre e che dopo la tempesta c’è sempre la quiete.
Sono passati solo nove mesi dal trapianto (adesso sono passati otto anni tre mesi e otto giorni), ma mi sembra un’eternità. Se ho deciso di scrivere queste poche righe è perché so cosa si prova di fronte a un scelta, a un bivio. La vita, normalmente, è incerta, insicura: in certe situazioni
non ci sono leggi matematiche che ti possono dare una risposta, le risposte che cerchiamo le dobbiamo trovare dentro di noi, nel nostro cuore.
A chi mi chiede se rifarei quello che ho fatto, rispondo senza esitazioni che quella è stata la decisione più importante e più sentita della mia vita, adesso possiamo dire che il decorso post operatorio mi sta dando ragione; la prima volta che io e Luigi siamo stati in ospedale per
vedere Gabriele di undici settimane ci sembrava impossibile andare a fare una visita, per così dire, di piacere...
Vederlo muovere dentro di me mi è sembrata la risposta più giusta a tutte le domande che in quei mesi mi ero fatta.
Non so se la scelta da me compiuta possa essere considerata, in generale, la più giusta per tutti coloro che possano trovarsi ad affrontare una malattia degenerativa. So che è stata la scelta più giusta per noi e sono sicura che la nostra maniera di affrontare i problemi è stata la marcia in più che ci ha permesso di non abbatterci mai, di camminare sempre a testa alta con la paura dell’oggi, ma con la speranza del domani.
Vorrei che questo racconto arrivasse al cuore delle persone che stanno soffrendo per dare una speranza di guarigione. Ogni volta che penso a questa malattia non posso fare a meno di ricordare la macchina della dialisi che, come ho già scritto ti lava il sangue, ma ti leva anche la voglia di vivere.
Non posso dimenticarmi delle persone in lista d’attesa che aspettano un organo che consenta loro di avere una vita normale, vita che sarebbe un diritto di tutte le persone che vengono al mondo, ma che
non tutti hanno.
E naturalmente spero che chi si trova di fronte a questa scelta non abbia paura, ma prenda esempio dalla mia storia per trovare il coraggio di aiutare un proprio caro, che sia un fratello, una sorella o un congiunto.
Sapere che il mio rene ha contribuito alla felicità di mio marito, della mia famiglia e soprattutto a dare la vita al bambino che ancora deve nascere (direi che adesso è ampiamente nato, altrimenti avrei battuto il record della gravidanza più lunga della storia) mi ripaga di tutto.
Mi sono privata di un organo ma arricchita nella qualità della stessa e dico questo ben consapevole del fatto che purtroppo non è detto che il mio rene duri per sempre, purtroppo non è come un diamante; siamo consci del fatto che potrebbe avere una durata di dieci, quindici, o magari tre anni. Quando Luigi mi ricorda questa cosa io gli rispondo che quello che gli ho dato è un super rene e quindi lo avrà per sempre, ma se anche questo non dovesse accadere so che quegli anni di
vita normale che sarò riuscita a donargli saranno per noi i momenti più belli di tutta una vita; rimpianti... mai.
A tutti quelli che soffrono dico di non smettere mai di sperare e di non smettere mai di credere nei sogni perché questi prima o poi si avverano.
Per quanto ci riguarda, Luigi è tornato a lavorare, allena sempre la stessa squadra che nel frattempo è stata promossa in serie A e io sono tornata al palazzetto, come avevo promesso, a fare il tifo per quel bellissimo mister, che finalmente ha ripreso possesso della sua panchina.
Irene Vella tratto da “Io se metto al mondo un figlio lo faccio alle 5,42”

2 commenti:

  1. Irene.... amore immenso...non ho parole per spiegarti come mi sento in questo momento...ho letto tutto d'un fiato ciò che hai scritto tutto d'un fiato....mi hai riempito di commozione e gioia allo stesso tempo.
    Non mi resta che conoscere il resto della famiglia....
    :-*
    tua
    Pippi

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  2. Sai che non sono riuscita a leggerla tutta durante il mio intervento? ho cominciato a piangere e non smettevo più.....ma io son di parte...

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